Il fattore comportamentale e la sicurezza

A poco più di una settimana dall’incidente occorso agli operai della Lamina Spa, mentre continuano le indagini dal parte della Procura di Milano e degli organi competenti, siamo purtroppo nuovamente costretti a parlare di sicurezza sul lavoro nell’ambito di un fatto di cronaca ed ancor peggio a riguardo di un incidente che ha visto coinvolte sei persone delle quali quattro sono morte.

Quanto successo martedì scorso ribadisce la necessità di prestare maggiore attenzione, non tanto al rispetto di una normativa ormai abbastanza definita, quanto piuttosto sulla necessità di passare ad un livello superiore di azione.

Il cammino è difficile e tortuoso ma è necessario per creare una nuova “cultura della sicurezza”.

La Lamina Spa è una piccola azienda modello, fondata nel 1949 dalla famiglia Sanmarchi con alle sue dipendenze circa una trentina di operai. L’azienda, sita in Rho (zona Greco), lavora l’acciaio ed il titanio ed è specializzata nella produzione per laminazione a freddo di nastri di alta precisione impiegati nella costruzione di molle industriali.

«xxxxxxx prima ha urlato e poi s’è infilato là sotto per cercare di aiutare il fratello, e lo stesso ha fatto xxxxxx. Abbiamo cercato di trascinarli fuori anche noi, ma in quel momento non c’era quasi più neanche lo spazio per muoversi e iniziava a girarci la testa. A quel punto siamo risaliti. Abbiamo provato a scendere con una maschera, ma ci siamo sentiti troppo male e abbiamo dovuto mollare». All’arrivo dei soccorsi la situazione all’interno della “fossa” è ormai talmente drammatica che anche uno dei vigili del fuoco rimane intossicato durante le operazioni di recupero.

Il bilancio dell’incidente è drammatico, quattro morti e tre intossicati. Quanto è emerso dalle autopsie effettuate nel medesimo giorno all’Istituto di medicina legale chiarisce due primi elementi. Il primo è la conferma della «morte per asfissia», mentre il secondo, ben più grave e sul quale si stanno concentrando le analisi degli esperti, è l’«intossicazione acuta da argon».

All’interno della “buca” nella quale è avvenuto l’incidente ci sono tutti gli impianti collegati al macchinario, un forno, utilizzato per riscaldare l’acciaio prima delle altre lavorazioni. Proprio a seconda della lavorazioni, all’interno di quella “campana” vengono pompati dei gas per evitare l’ossidazione, azoto nel caso dell’acciaio ed argon nel caso del titanio. «Entrambi i gas, dunque, sarebbero compatibili con un uso corretto del forno (all’inizio si pensava a un intossicazione da solo azoto e non si trovava una spiegazione per le tracce di argon sulle vittime)».

Definite quelle che sono le cause della morte dei quattro operai della Lamina Spa quello che rimane da chiarire è da dove provenisse il gas e, soprattutto, per quali motivi non sia scattato l’allarme indicante il basso livello di ossigeno. L’area lavoro in questione rientra all’interno di quelli che il D.Lgs 81/08, art.66 definisce “ambienti confinati o sospetti di inquinamento” per i quali è necessario predisporre una serie di accorgimenti mirati ad individuare le condizioni dell’area in termini di presenza di gas nocivi o di mancanza d’aria.

Ad avvalorare l’ipotesi che il “caso” Lamina rientri all’interno dei succitati ambienti confinati vi è l’utilizzo dei gas Argon ed Azoto all’interno di un’area confinata anche se aperta e per i quali, nonostante non sia esplicitata la definizione di sostanza pericolosa, «in alta concentrazione il gas può provocare asfissia». Nelle medesime schede, inoltre, all’interno delle misure di controllo dell’esposizione si raccomanda come misura di monitoraggio di «valutare se sia opportuno il controllo del contenuto di ossigeno nell’ambiente». Purtroppo non è la prima volta che un incidente in tali ambienti riporti un elevato numero di vittime e che, soprattutto, coinvolga anche i primi soccorritori. Molto spesso, infatti, il tentativo di aiutare i colleghi in pericolo, porta i soccorritori ad agire senza mettere se stessi in sicurezza, trasformandoli nel secondo gruppo di vittime. Continuando ad analizzare le schede di sicurezza si può leggere all’interno delle misure di pronto soccorso che «i sintomi possono includere la perdita di mobilità e/o conoscenza. Le vittime possono non rendersi conto dell’asfissia. Spostare la vittima in zona non contaminata indossando l’autorespiratore – omissis – usare l’autorespiratore per entrare nella zona interessata se non è provato che l’atmosfera sia respirabile». Quanto riportato vuole porre l’attenzione non tanto sul fatto che i gas fossero pericolosi per i lavoratori né tantomeno sulla necessità di adottare idonee misure di controllo e monitoraggio; l’interrogativo sul quale ci si vuole soffermare è sul processo decisionale in situazioni di emergenza.

Può una procedura, un documento di valutazione dei rischi o adempimenti similari, compresi di formazione ed addestramento evitare che un lavoratore rischi la propria vita per tentare di salvare un collega e nella fattispecie un fratello?